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Stanza piena di monitor con dati e mappe. Un imprenditore osserva la mappa del mondo su uno schermo di grandi dimensioni. Un'altra persona lavora su schermate di codice.

L'importanza dell'alfabetizzazione per l'adozione dell'AI

Per acquisire competenze di AI servono formazione ed esperienza. I lavoratori sanno che il successo, il loro e delle loro aziende, dipende da questo.

A metà degli anni novanta, quando Internet faceva il suo ingresso sulla scena aziendale con lo stridio di un modem statico, le aziende si affannavano per andare online. Assumevano programmatori esperti nelle tecnologie HTML e JavaScript, specialisti di marketing con diplomi di e-commerce, consulenti che promettevano di rendere le operazioni aziendali pronte per il web. Nei decenni successivi, con lo sviluppo dell'e-commerce, delle app per smartphone e di altri strumenti simili, know-how tecnico e valore di business erano collegati in linea retta.

Oggi, però, l'AI ci mette di fronte a un tipo diverso di sfida formativa. Non si tratta semplicemente di una tecnologia nuova, ma di qualcosa che cambia continuamente davanti ai nostri occhi. Un anno fa, la maggior parte degli strumenti di AI poteva elaborare solo testo. Oggi è sufficiente caricare la foto di una lavagna, un grafico di una riunione, persino un PDF con note aggiunte a mano, e il modello è in grado di leggere i contenuti, interpretarli e aiutarti ad agire di conseguenza. E questo confine variabile tra l'uomo e la macchina - e con esso la questione di cosa considerare come unicità dell'essere umano - è diventato un bersaglio in movimento.

Un giorno, il prompt engineering è l'abilità del futuro; il giorno successivo, l'aggiornamento di un grande modello linguistico condanna quell'abilità ritenuta indispensabile allo stesso destino di un operatore del centralino, imparando a decifrare le nostre intenzioni da pensieri incompleti e grugniti disarticolati, senza richiedere particolari doti di fraseggio. Man mano che l'AI diventa più competente in attività una volta considerate innatamente umane, i leader aziendali vengono assaliti da dubbi sempre più profondi: come si può investire nelle persone, ossia formarle, responsabilizzarle e farle crescere, quando le stesse funzionalità che le hanno rese preziose ieri potrebbero essere automatizzate domani?

La risposta, o almeno il primo tentativo di trovarne una, sta nel concetto di alfabetizzazione all'AI. Non si tratta di una credenziale tecnica, né di un titolo di lavoro, ma di un attributo misurabile, un modo di pensare e interagire con l'AI che fornisce ai lavoratori gli strumenti per adattarsi e prosperare. Da una serie di recenti studi che hanno coinvolto lavoratori, manager e professionisti HR, è emerso che i lavoratori alfabetizzati all'AI non sono solo più bravi a utilizzare gli strumenti dell'intelligenza artificiale. Sono più ottimisti, più curiosi e più sicuri di ciò che un futuro abilitato dall'AI ha in serbo per loro e per le loro organizzazioni.

La buona notizia? L'alfabetizzazione all'AI può essere insegnata. Può essere coltivata, modellata e condivisa. Nelle sezioni che seguono esploreremo cosa significa davvero alfabetizzazione all'AI, come svilupparla all'interno della forza lavoro e come utilizzarla come bussola per muoverci tra le decisioni strategiche e complesse che ci attendono.

L'alfabetizzazione all'AI può essere insegnata. Può essere coltivata, modellata e condivisa.

Due uomini d'affari in un data center interagiscono con un grande schermo digitale in cui sono visualizzati simboli e grafici.

Alfabetizzazione all'AI ottenuta attraverso l'esposizione e l'esperienza

Per comprendere gli atteggiamenti e i comportamenti di AI dei lavoratori di tutti i settori, abbiamo condotto il nostro primo sondaggio globale nell'ottobre 2024, raccogliendo le risposte di 4.023 dipendenti e manager. Le domande erano concepite per essere ampie: abbiamo chiesto agli intervistati se avessero già utilizzato strumenti di AI per lavoro. Quanto si sentissero ottimisti - o ansiosi - riguardo al ruolo crescente dell'AI sul posto di lavoro. E quanto si sentissero sicuri delle loro capacità di lavorare con questi strumenti.

Dalle risposte è emerso un quadro complesso ma incoraggiante. Come avevamo riferito all'epoca, il fattore specifico con il maggior impatto sulle percezioni dei dipendenti riguardo all'AI, cioè sul fatto che si sentissero fiduciosi, timorosi o provassero un sentimento a metà tra le due sensazioni, era il loro livello di alfabetizzazione in materia di AI. Quelli con un'alfabetizzazione più elevata erano più propensi ad aspettarsi risultati più positivi dall'AI ed erano molto meno inclini a sentimenti di paura, angoscia o apprensione. Tendevano anche maggiormente ad esprimere opinioni sfaccettate e mature su come l'AI dovrebbe (o non dovrebbe) influenzare le decisioni sul posto di lavoro, ad esempio in merito a promozioni e retribuzioni.

Incuriositi, abbiamo scavato più a fondo. Un sondaggio di follow-up più recente condotto su 4.030 dipendenti e manager globali ha raccolto dati più dettagliati sul livello attuale di alfabetizzazione all'AI dei dipendenti, sulle esperienze precedenti e sulle preferenze per il consolidamento di queste competenze (ad esempio attraverso training formale, autoapprendimento o apprendimento tra pari) e sulle convinzioni della sua importanza attuale e futura (ad esempio, quanto influenzerà le loro prospettive di avanzamento). Per le domande che implicavano una misurazione specifica dell'alfabetizzazione all'AI abbiamo impiegato una scala strutturata utilizzata anche nella letteratura di ricerca accademica. Questa scala include le caratteristiche distintive di una persona alfabetizzata all'AI, aspetti come la capacità di applicare l'AI per raggiungere gli obiettivi, di riconoscere l'interazione con l'AI e di valutare i limiti e le capacità dell'AI.

Le risposte a questi indicatori di alfabetizzazione all'AI registrano qualcosa in più della semplice esperienza o persino della fiducia individuale. Il concetto chiama in causa un livello più profondo e riflessivo di interazione intellettuale con l'AI. Concordare con queste affermazioni equivale ad ammettere di provare una sorta di sofisticatezza e disinvoltura, il tipo di intuizione che conta in un mondo in cui i confini della capacità dell’AI permangono, almeno per ora, in uno stato di rapida espansione.

Nella nostra ricerca, il 70% degli intervistati con elevate competenze in ambito AI ha dichiarato di aspettarsi risultati positivi dalla tecnologia, rispetto ad appena il 29% delle persone con un basso grado di alfabetizzazione all'AI.

L'origine dell'alfabetizzazione all'AI non è affatto un mistero. Non è qualcosa che si materializza magicamente tramite direttive top-down o webinar obbligatori, piuttosto nasce dalla curiosità personale dei lavoratori e si evolve con prove, errori e sperimentazioni degli stessi strumenti di AI, spesso al di fuori delle strutture istituzionali e persino dell'ambito lavorativo. In effetti, da un recente studio di McKinsey è emerso che i dipendenti spesso superano i loro manager quando si tratta di dimestichezza con l'AI. Molti utilizzano già questi strumenti, con i loro tempi e spesso in modo discreto, per aumentare la produttività, generare idee o semplificare attività di lavoro ripetitive. I dipendenti che si avvicinano a questo tema di propria iniziativa sono proprio coloro che si aspettano buoni risultati dall'intelligenza artificiale, il che costituisce una delle principali conseguenze dell'alfabetizzazione all'AI. Nella nostra ricerca, infatti, il 70% degli intervistati con elevate competenze in ambito AI ha dichiarato di aspettarsi risultati positivi dalla tecnologia, rispetto ad appena il 29% delle persone con un basso grado di alfabetizzazione all'AI.

Certo è troppo presto per tracciare una linea retta tra questo tipo di mentalità e i risultati di business, ma è ragionevole pensare che i dipendenti più inclini a esplorare nuovi strumenti, sperimentarli e individuare il loro valore pratico saranno anche quelli che sapranno trovare soluzioni efficienti, stimolando l'innovazione e contribuendo ad ottenere ritorni significativi.

Come creare un'organizzazione alfabetizzata all'AI

Quindi, come si costruisce quel tipo di forza lavoro, quella che vede l'AI non come una minaccia o un mistero, ma come uno strumento con cui è bene interagire, che vale la pena conoscere e sviluppare per migliorare i risultati individuali e organizzativi? La nostra ricerca chiarisce una cosa: soggetti organizzativi diversi hanno bisogno di tipi di supporto diversi. Ciascun dipendente, manager e professionista HR mette in campo le proprie posizioni di partenza e i propri desideri per l'AI. Ma in questa diversità di esigenze e di preferenze, sono tre le strategie fondamentali che producono costantemente il maggiore effetto: l'esposizione esperienziale, la formazione strutturata e le norme influenti di una cultura organizzativa alfabetizzata all'AI.

Analizziamole una per una.

Esposizione esperienziale: liberi di provare

La nostra ricerca dimostra che finora, per migliorare la propria comprensione dell'AI, la maggior parte dei dipendenti (60%) ha utilizzato risorse molto basilari come leggere articoli e guardare video. Queste risorse hanno i loro benefici, ma il modo più efficace per costruire le competenze in ambito AI è quello di lasciare che le persone si sporchino le mani. Il training formale ha la sua utilità - e arriveremo anche a questo - ma per molti dipendenti, prendere confidenza con l'AI è come prendere confidenza con il volante mentre si impara a guidare. Leggere un manuale, o utilizzare un simulatore, non è come impugnare il volante e buttarsi nel traffico.

Per le organizzazioni questo significa offrire ai dipendenti modalità sicure e a basso rischio per sperimentare l'AI, iniziando, ad esempio, a fargliela usare per creare bozze di e-mail, riassumere documenti o simulare piani di progetto. La chiave è mantenere l'ambito di applicazione entro determinati confini, come le comunicazioni interne o i progetti intramurali, in cui gli errori sono a basso impatto, sono facilmente perdonabili ed è poco probabile che abbiano ripercussioni negative sui clienti e sulla reputazione dell'azienda.

Identificare queste opportunità a basso rischio è fondamentale. Secondo uno studio separato condotto tra i leader HR, la maggior parte delle aziende dispone di policy che stabiliscono quali dati è appropriato o meno condividere con un modello AI, ma pochissime aziende offrono indicazioni su un adeguato utilizzo dell'AI, come ad esempio che tipo o quanta parte del lavoro dovrebbe essere svolta con l'AI. Per trarre il massimo vantaggio da questa fase sperimentale, le organizzazioni dovrebbero dare priorità alla definizione di paletti chiari per i dipendenti riguardo all'AI. Queste policy dovrebbero contribuire a creare una sandbox in cui i lavoratori possono sperimentare. E, con le giuste tutele in atto, questo tipo di apprendimento esperienziale è spesso più efficace della sola acquisizione di competenze. Migliora la fiducia in sé stessi e le capacità di giudizio, ma anche la fiducia nelle proprie capacità di giudizio, tutti gli aspetti chiave dell'alfabetizzazione all'AI.

Formazione strutturata: impara a sperimentare con uno scopo

Sporcarsi le mani serve, ma non basta. A un certo punto, la curiosità e la dimestichezza appena acquisita avranno bisogno di essere sostenute dall'impalcatura di una formazione strutturata, il che rappresenta una sfida quando si parla di AI. A differenza dei fogli di calcolo o dei sistemi CRM, l'AI con tutte le sue mutevoli declinazioni non è accompagnata da un ecosistema decennale di certificazioni, manuali di formazione e best practice. La formazione strutturata è ancora possibile - essenziale, diremmo - ma funziona meglio quando è specifica per gli strumenti che le persone usano, i lavori che svolgono e le attività che eseguono.

Iniziamo con gli strumenti. Molti dipendenti non si rendono conto che l'AI è già integrata nei sistemi che utilizzano ogni giorno, con funzionalità come i suggerimenti di risposta di Outlook, le segnalazioni sul tono della voce di Grammarly o i riassunti automatici delle riunioni in Zoom e Microsoft Teams. Aiutare i dipendenti a individuare tali funzionalità, mettendo visivamente a confronto il risparmio di tempo per l'esecuzione di un'attività con e senza l'AI, può attivare un vero e proprio "momento lampadina". I risultati immediati consolidano la fiducia e accrescono l'ambizione.

Un buon programma di formazione sull'AI consente ai lavoratori di svolgere meglio le mansioni assegnate loro all'interno di un'organizzazione.

Analizziamo ora la questione dalla prospettiva del lavoro. Un buon programma di formazione sull'AI consente ai lavoratori di svolgere meglio le mansioni assegnate loro all'interno di un'organizzazione. Alcuni dipendenti potrebbero voler imparare come avvengono l'addestramento, il tuning e la manutenzione dei modelli. Molti altri, invece, necessiteranno solo di indicazioni pratiche fondamentali, ad esempio su come creare prompt efficaci, dove trovare gli input giusti e come integrare adeguatamente gli output dell'AI nei prodotti o servizi offline la cui produzione rientra nelle proprie responsabilità.

Arriviamo quindi all'ultimo livello, quello dell'attività. Non tutte le attività sono adatte all'intelligenza artificiale e un programma di formazione solido dovrebbe aiutare i dipendenti a riconoscere istintivamente per quali parti del loro lavoro, e in quali momenti della giornata, continua ad essere necessario un tocco umano. Quando la formazione li aiuta a focalizzarsi su questi aspetti specifici, combinandosi con le coincidenze fortunate e i momenti lampadina sperimentati durante la fase della sandbox, i dipendenti iniziano a costruirsi una base di conoscenze che li aiuterà a identificare gli usi adatti allo scopo dell'AI, traendone ottimi benefici sul piano lavorativo.

E questo rientra nei desideri di qualsiasi lavoratore. I dipendenti potrebbero storcere il naso al pensiero dell'ennesimo modulo formativo, ma, quando si tratta di AI, le persone tendono ad essere meno infastidite. In realtà, dalla nostra ricerca è emerso che è proprio il training formale la prima cosa che i lavoratori desiderano per migliorare le loro competenze in materia di AI. Questa modalità di apprendimento di primo livello è stata scelta dal 44% del nostro campione, rispetto ad altre opzioni meno preferite come l'apprendimento informale, la formazione sul posto di lavoro e l'apprendimento social.

La pratica fuori dal contesto lavorativo ha sicuramente contribuito ai progressi di una buona parte della forza lavoro. Tuttavia, man mano che si va avanti verso il coinvolgimento di tutti nel percorso di sviluppo delle competenze di AI, ciò che le persone chiedono e di cui hanno bisogno sono lezioni vere e proprie.

Due colleghi seduti alla scrivania sono impegnati in una discussione davanti a una schermata di codice.

Cultura organizzativa: influenzare i dipendenti attraverso l'apprendimento peer-to-peer

La scienza delle organizzazioni ha da tempo dimostrato il potere della cultura aziendale e delle norme ad essa associate nell'influenzare gli atteggiamenti e i comportamenti dei dipendenti. Proprio ora abbiamo a disposizione un'eccellente opportunità di utilizzare queste dinamiche sociali per promuovere l'alfabetizzazione all'AI per tutta la forza lavoro. Nello specifico, i leader possono e devono:

Anche in questo caso, la nostra ricerca suggerisce che queste iniziative non incontreranno eccessiva resistenza da parte dei dipendenti. L'uomo per sua natura può spaventarsi di fronte al cambiamento in generale, ma quando si tratta di intelligenza artificiale, i lavoratori sono consapevoli di cosa li aspetta e stanno già pensando seriamente al ruolo con cui entreranno a farne parte. L'87% ritiene che migliorare l'alfabetizzazione all'AI sia importante per la propria azienda. Più della metà, il 57%, considera la scarsa conoscenza dell'IA un ostacolo al successo sul lavoro e il 63% la ritiene un probabile impedimento in ottica futura.

In altre parole, non si tratta di dover convincere le persone che l'AI è importante. Lo sanno già. Quello che chiedono ora è un aiuto per recuperare terreno.

È come imparare a surfare

"Non puoi controllare le onde, ma puoi imparare a surfare", ha scritto l'esperto di mindfulness Jon Kabat-Zinn, e quello che intende è chiaro. In un universo caotico che riusciamo a malapena a capire, figuriamoci a manipolare, ha veramente poco senso sprecare tempo ed energia cercando di controllare gli eventi, le persone e il mondo che ci circonda. Applicando questo principio al business, vale il discorso che, per ottimizzare il ROI, faremmo sicuramente meglio a impiegare quel tempo e quell'energia per trovare la giusta postura e stabilità nel caos.

Questo atteggiamento è esattamente ciò che serve nell'era dell'intelligenza artificiale. La tecnologia continuerà a svilupparsi, gli strumenti continueranno a cambiare e i casi di utilizzo continueranno ad espandersi. I confini tra essere umano e macchina diventeranno sempre più sfocati, fino a sparire probabilmente del tutto. Ma l'alfabetizzazione all'AI, la mentalità che consente alle persone di impegnarsi con attenzione, adattarsi rapidamente e fronteggiare la marea restando saldamente in piedi, è una dote personale che dura nel tempo. Non fermerà le onde. Ma ti aiuterà a cavalcarle e, col tempo, a fare tuo il loro stesso slancio.

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